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L'Empio punito, Don Giovanni cento anni prima di Mozart

L'Empio punito, Don Giovanni cento anni prima di Mozart

A New York University studioso italiano racconta opera di Melani

ROMA, 24 ottobre 2022, 18:55

di Luciano Fioramonti

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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Il mito di Don Giovanni messo in scena più di cento anni prima del capolavoro immortale di Wolfgang Amadeus Mozart sul libretto di Lorenzo da Ponte. Ad ''anticipare'' il genio di Salisburgo mettendo mano alla prima opera della storia della musica basata sulla leggenda dell' eroe libertino fu il compositore Alessandro Melani con ''L' Empio punito'' rappresentata nel 1669 a Roma. Il lavoro del musicista italiano è stato analizzato recentemente dallo specialista di musica barocca Luca Della Libera, docente al Conservatorio Licinio Refice di Frosinone e critico musicale del quotidiano ''Il Messaggero'', nella edizione critica pubblicata quest' anno negli Stati Uniti da A-R Editions. L'autore ha illustrato i risultati della sua ricerca alla Casa Italiana Zerilli-Marimò della New York University in una conferenza alla quale hanno partecipato gli esperti di musica antica Elizabeth Weinfield, della Juilliard School, e Giuseppe Gerbino, della Columbia University. La lecture, organizzata da Eugenio Refini, docente del Dipartimento di Italian Studies dell' ateneo, ha offerto anche l' occasione preziosa di ascoltare l' ensemble Sonnambula in alcuni brani dell' opera, che non è mai stata eseguita in America. Emblematico del gusto musicale dell' epoca Barocca, il lavoro del compositore pistoiese è caratterizzato da una musica rigogliosa, passioni ed emozioni, come le soprese narrative di vario genere. In ''L' Empio Punito'', rappresentato per la prima volta quando Melani aveva 30 anni, il Don Giovanni si chiama in realtà Acrimante. ''Ad interpretare il protagonista - ricorda Della Libera - fu Giuseppe Fede, soprano castrato al servizio della Cappella Sistina e di Lorenzo Onofrio Colonna, rampollo di una delle più blasonate famiglie romane''. Quest' ultimo era talmente appassionato della lirica - faceva la spola tra Roma e Venezia con la moglie Maria Mancini, nipote del cardinale Mazzarino per ascoltare le opere dell' epoca - che decise di farsi costruire un teatro privato nel suo palazzo romano. ''Più di un secolo prima del capolavoro firmato Mozart/Da Ponte andato in scena a Praga nel 1787 - spiega l' autore - L'Empio punito rappresenta dunque un momento fondamentale nel lungo percorso di questo mito nella cultura europea''. La trama è complicatissima e lontana dai precedenti testi sullo stesso soggetto. L'azione si svolge in una Grecia immaginaria, a Pella. Il libretto si distanzia dai testi prece denti su Don Giovanni anche nella scelta dei nomi dei personaggi, molti dei quali derivano dalla letteratura italiana e dalla mitologia greca. ''In fondo Acrimante assomiglia poco a Don Giovanni - sottolinea Della Libera - non si traveste mai e non architetta burle: quando s'innamora di Ipomene, ignora che lei sia amante del suo amico Cloridoro. Mancano i temi dell'onore e della famiglia, così forti nei testi precedenti, così come manca la richiesta del pentimento nella drammatica scena tra il protagonista e la statua di Tidemo: Acrimante è mandato direttamente all'inferno senza tante storie''. L' intreccio drammaturgico sembra, dunque, solo un pretesto per realizzare un evento teatrale e spettacolare molto sfarzoso e musicalmente attraente. I costi dell'allestimento dell' Empio Punito, con scenografie grandiose e complesse e quindici cambi di scena, furono altissimi, più di seimila scudi, sostenuti da una cordata di mecenati, tra cui probabilmente anche la regina Cristina di Svezia. A curare la messa in scena fu Filippo Acciaiuoli, autore del libretto con Giovanni Filippo Apolloni.     L'opera ebbe un grande successo, e dopo oltre tre secoli di silenzio è tornata alla ribalta negli ultimi tre anni. Nel 2019 è andata in scena in due produzioni diverse a Pisa, diretta da Carlo Ipata con la regia di Jacopo Spirei, e a Roma diretta da Alessandro Quarta con la regia di Cesare Scarton. Nel 2020 è stata prodotta dalle Festwochen der Alten Musik di Innsbruck, con Mariangiola Martello sul podio e la regia di Silvia Paoli.    

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