Come si soffre per amore quando si
è giovani, e l'amore si accompagna sempre alla tristezza, alla
illusione, al sogno di un uomo, creatura e proiezione della
nostra anima. E il risveglio non può che essere brutale, e non
si può tornare indietro. Tutto questo è l' "Evgenij Onegin" di
Cajkovskij, in scena al Teatro Massimo da ieri sera. Lo
spettacolo è stato dedicato a Gioacchino Lanza Tomasi, scomparso
la settimana scorsa. "Figura centrale nel mondo della musica e
dell'arte - ha voluto ricordare il sovrintendente Marco Betta -
eccellente musicologo, e artefice di indimenticabili
iniziative".
Una serata straordinaria dal punto di vista musicale. La
bellissima partitura è molto sinfonica ed esalta la magistrale
direzione d'orchestra, non una delle infinite sfumature va persa
e Omer Meir Wellber passa con sapienza dalla passione ardente
alla tenerezza, segnando quell'andare e venire delle cellule
musicali, che descrivono i tipici struggimenti di un'anima
giovane e innamorata, i "crescendo" tormentati e quel tornare su
se stessa della felice armonia che veramente è un capolavoro del
genio russo, anche nella perfetta aderenza dei versi alla
musica. L'orchestra lo segue con passione. Il cast è di ottimo
livello, il coro diretto da Salvatore Punturo, applaudito a
scena aperta. Su tutti spiccano il tenore Saimir Pirgu, nel
ruolo di Lenskij, che come Puskin morirà in duello, Carmen
Giannattasio è la protagonista femminile, Tatiana, voce calda e
ben piantata, assai adatta al ruolo, magnifica nella lunga aria
del primo atto, e il principe Gremin, Giorgi Manoshvili. Ma
anche gli altri sono da ricordare: Onegin è il baritono polacco
Artur Rucinski, Olga è Victoria Karkacheva, Larina la madre,
Helene Schneiderman, Margarita Nekrasova è la Tata. Tutti
decisamente bravi, non escluso il divertente Monsieur Triquet,
un animatore della festa, venuto dalla Francia. Ma i costumi
dicono che siamo nei primi anni 50 del 900 e allora siamo
nell'Urss di Stalin? Per carità nessuno chiede il realismo. Il
simbolismo, forse, quando è necessario, il cambio d'epoca,
figuriamoci, ormai è consuetudine. Ma coerenza e logica sono
irrinunciabili. I costumi minimalisti, poveri della borghesia
anni 50, certamente non in Urss, non si addicono alla storia
voluta da Cajkovskij. Le scene sono di Amber Vandenhoeck, i
costumi di Sanne Oostervink. Siamo in campagna prima, con tre
rocce fatte di cartapesta, un albero appena accennato, poi nella
sala da ballo del principe Gremin abbiamo solo una lunghissima
tenda bianca. Nient'altro, il valzer? Lo abbiamo in orchestra ma
in scena no. Che dire della regia? Salutata con applausi e
qualche "buu". Il ballo tra Olga e Onegin viene quasi nascosto
dietro il coro, e così chi non conosce la storia, non capisce
nulla. Insomma tutto il peso dello spettacolo ricade dunque
sulla magnificenza della musica che viene restituita dalla
sensibilità del maestro Wellber.
E poiché "Onegin" è l'opera del destino, al destino ci
appelliamo perché conservi a Palermo questo grande musicista. In
scena fino al 25 maggio.
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