"Dare un po' il festival alle
donne non sarebbe male ogni tanto, perché no? Prima o poi...".
Le parole di Antonella Clerici, ospite ieri a Che tempo che fa
dopo essere tornata all'Ariston come co-conduttrice della prima
serata insieme con Carlo Conti e Gerry Scotti, rilanciano la
riflessione sulla rappresentanza femminile a Sanremo in ruoli di
responsabilità come la conduzione e soprattutto la direzione
artistica.
I numeri parlano chiaro. Nell'arco di 75 edizioni, soltanto
sei donne hanno avuto il ruolo di conduttrici principali: Lilli
Lembo, sul palco nel 1961 insieme con l'attrice Giuliana
Calandra; Maria Giovanna Elmi nel 1978, Loretta Goggi nel 1986,
Raffaella Carrà nel 2001, Simona Ventura nel 2004 e Clerici,
ultima "donna sola al comando", nel 2010. "Nessuno ci credeva,
nessuno voleva farlo con me, non fu facile da nessun punto di
vista, e invece è stata una bella edizione di successo", ha
ricordato alla vigilia del festival, sottolineando poi,
nell'incontro in sala stampa, come a suo giudizio più che un
problema di genere, sia "un problema di opportunità". Nello
studio di Fabio Fazio ha anche rivelato: "Una volta ho chiesto a
Laura (Pausini) di fare il festival con me, però poi non è
successo niente, lei è una donna molto simpatica".
Ancora più impietose le statistiche relative alla direzione
artistica, ruolo centrale che definisce l'identità del festival
e che non è mai stato affidato ad una donna. Unica eccezione,
nel 1997, la co-direzione di Carla Vistarini insieme con Pino
Donaggio e Giorgio Moroder; negli annali anche il nome di Sandra
Bemporad, che in realtà fece parte della commissione artistica
voluta dall'allora direttore Mario Maffucci. Non a caso nei
giorni scorsi lo stesso Carlo Conti ha sottolineato che "la vera
novità sarebbe affidare la direzione artistica a una donna".
Una disparità che certo non può essere colmata dal gran
numero di donne che si sono affacciate sul palco in ruoli
secondari, di affiancamento (la prima volta è toccato a Maria
Teresa Ruta che presentò l'edizione del 1955 con Armando Pizzo),
'crescendo' da vallette a figure femminili a primedonne:
definizioni spesso maldestre che restituiscono la difficoltà di
inquadrare le donne nel loro essere, di fatto, non protagoniste.
Quest'anno la mattatrice di Sanremo è stata Geppi Cucciari:
dopo la stagione dei monologhi e delle lettere aperte, gli occhi
erano puntati sulla sua capacità di dissacrare la liturgia del
festival. E lei non le ha deluse: ha raccolto un testimone
pesante come quello di Roberto Benigni e si è presa il palco,
graffiante, fulminea, cinica quanto è bastato per fare da
contrappunto alla macchina impeccabile e precisa come un
orologio svizzero messa in piedi da Conti. Di impatto anche
Bianca Balti, con il suo entusiastico inno alla vita che le ha
permesso anche di 'bacchettare' il direttore artistico, quando
l'ha definita un esempio per le donne, forte", replicando: "Noi
donne siamo sempre un grande esempio per gli uomini". Se Clerici
ha scelto l'immagine rassicurante da grande festa popolare, come
era nelle premesse del trio delle meraviglie della tv
generalista con Conti e Scotti, Katia Follesa si è ritagliata il
suo inno alla body positivity, accanto a gag forse più scontate
(come quella dell'aspirante sposa di Simon Le Bon). Molto -
forse troppo - anni '90, in chiave Festivalbar, la cifra scelta
per la finale da Alessia Marcuzzi.
Conti avrà tempo per immaginare il prossimo festival e lo
spazio da affidare alle donne. Intanto però segnali positivi
arrivano dall'industria discografica: un esempio su tutti,
quello di Marta Donà, la manager che con Olly ha messo a segno
la quarta vittoria a Sanremo negli ultimi cinque anni, dopo i
Maneskin, Marco Mengoni e Angelina Mango.
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