In Europa, con i 60 milioni di soldati, vissero sui fronti della I guerra Mondiale, tra gli stenti, il fango e le bombe almeno undici milioni di cavalli, 200 mila piccioni e colombi, 100 mila cani, e altri milioni animali, come muli, asini, maiali, buoi, canarini, pollame.
Utilizzati, a seconda dei casi, per trasportare rifornimenti, trovare feriti, segnalare la presenza di gas, portare messaggi, tenere compagnia o per il sostentamento delle truppe. Un 'esercito' che Folco Quilici racconta nel documentario 'Animali nella Grande Guerra', in sala dal 15 maggio con Luce Cinecittà e il 24 maggio in onda su Rai 1.
Grazie a molto materiale inedito, il regista tra filmati e foto, diari, lettere provenienti dall'Archivio storico Cinecittà Luce, Cineteca del Friuli e British Pathe, fa scoprire la dedizione, l'utilità (anche come pet therapy ante litteram) e a volte l'eroismo degli animali in trincea. Dai muli da soma degli alpini, che trasportavano anche cannoni smontati, ai cani, 'effettivi' dell'esercito' o adottati' e poi abbandonati nei vari spostamenti, che condividevano nel quotidiano le difficoltà e i compiti dei soldati, stabilendo con loro un profondo legame emotivo.
Senza dimenticare colombi e piccioni, efficacissimi strumenti di comunicazione fra i comandi, e i cavalli (già raccontati nel loro ruolo nella Grande Guerra in War Horse) che dopo aver affiancato i soldati in battaglia, finirono soprattutto negli eserciti tedeschi e austriaci, rimasti a corto di viveri, da 'carne in piedi'. Compiti primari che la Bretagna ha ricordato a Londra con un memoriale (Animals in War Memorial Fund), dedicato simbolicamente, al 'Soldato 2709', un piccione viaggiatore morto in servizio.
'Eroi' diventati in qualche caso anche divi decorati e mediatici, come il piccione Cher ami', il pitbull terrier Stubby, o il pastore tedesco Rin Tin Tin trovato abbandonato in Lorena da un soldato americano e diventato negli Usa una star cinematografica. Si parla però anche gli animali 'nemici' dei soldati al fronte, come i topi e i pidocchi, che infestavano le trincee.
''Gli operatori al fronte non avevano alcun interesse a filmare gli animali e questo ha reso le loro immagini ancora più interessanti, perché li vediamo comparire sulla scena in modo naturale, quasi per caso, rendendo il materiale più sincero e vero'' spiega Quilici, che ha anche un legame personale, sul rapporto fra animali e soldati. ''Mio padre - dice - che è morto quando avevo 10 anni, aveva combattuto la prima Guerra Mondiale da alpino e tornato dal conflitto, nei pochi momenti insieme, mi raccontava storie del fronte, ricordando sempre anche le fatiche vissute e condivise con il suo mulo, memorie preziose per me''.
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