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Racconti sul disamore di Lorrie Moore

Racconti sul disamore di Lorrie Moore

Uomini e donne sole nel difficile tentativo di intendersi

ROMA, 19 giugno 2015, 12:25

Paolo Petroni

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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LORRIE MOORE, 'BARK' (BOMPIANI, pp.188 - 17,00 euro - traduzione di Alberto Pezzotta)

    Impietosa e critica, dallo sguardo freddo e la ragione lucida e divertita, Lorrie Moore torna a scrivere racconti con quella grazia e incisività proprie della letteratura anglo-americana, raccontandoci, come ogni vero scrittore, come viviamo, di cosa ci illudiamo, chi crediamo di essere, mettendoci davanti a uno specchio che può apparire deformante ma non lo è, e per questo è molto più inquietante, in tutto il suo squallore d'impotenza d'amare.

    Quasi tutti i suoi personaggi cercano di far funzionare un rapporto di coppia, sono divorziati o prigionieri di un matrimonio inaridito, si rivelano immensamente, beckettianamente e paradossalmente soli. Ira è il protagonista del primo racconto, quasi un romanzo breve per la ricchezza di situazioni e spunti. E' un divorziato che non riesce ad abituarsi all'idea, anzi somatizza e si ritrova a doversi occupare da solo, senza saper come fare, della figlia Bekka di otto anni, con la quale non ne azzecca una e che non fa che accusarlo: "Che ne sai tu di me?". L'amico Mike, che una volta gli aveva detto "Fosse per me divorzierei, ma Kate mi ucciderebbe", lo invita a darsi una regolata, davvero a fare una vita più regolare per poter superare la depressione e poi ripartire. A casa loro, durante il pranzo quaresimale, conosce una seducente pediatra, Zora, "unica fra tutti, rideva sguaiatamente e, quando non aveva la faccia contorta dalle risate, faceva scattare muta le mascelle come un paio di forbici", sintomo, per Ira, "di isteria da divorzio".

    Zora non fa difficoltà a concedere i propri favori e con lei inizia una relazione, che si rivela frustrante, incapace di qualsiasi reale, profondo appagamento, anche perché lei ha attenzione e interesse solo per il viziatissimo figlio. Dopo aver fatto l'amore, lei prende dal comodino una pillola e poi ne passa metà a Ira che commenta: "Condividere i sonniferi. Che simpatica". Ed è sempre così, di dialoghi e dei fatti resta solo l'osso, spolpato, che evidenzia le cose con precisione chirurgica.

    Nell'ultimo racconto una giovane donna si reca a un matrimonio festa di campagna dove il primo marito Ian della sposa, "una brasiliana bella e irrequieta", è stato ingaggiato per suonare per gli invitati e lei commenta: "Robert Louis Stevenson ha scritto: Il matrimonio è una lunga conversazione.

    Ovviamente morì a 44 anni, e quindi non poteva sapere per quanto sarebbe durata". Mentre si mangia, si beve, si commenta che senza i matrimoni per vedersi ci sarebbero solo i funerali, ecco arrivare rombanti un gruppo di motociclisti, col primo che spara colpi in aria da una rivoltella, si presenta in modo provocatorio e poi pretende di parlare con la sposa, per arrivare a capire di aver sbagliato matrimonio. La realtà è un po' come tutti fossero fuori posto. Fuori posto si ritrova anche uno scrittore di poco chiara fama e moderatamente progressista costretto dalla moglie a partecipare a un pranzo di gala a Washington, dato da ricchi signori che finanziano opere culturali, e che potrebbe essere l'occasione per promuovere il proprio libro assecondando i loro discorsi. In realtà lui e il suo libro non interessano nessuno e lui, frustrato, si sfoga prendendosela malamente e direttamente con una commensale reazionaria e piena di sé.

    Abbaia insomma e 'bark' (che è il titolo della raccolta della Moore) in inglese e appunto l'abbaio, secco, diretto con un sottofondo rabbioso o con un senso remissivo, per non mordere, come in tutti questi dialoghi. Come in quelli di Suzie e Bake: con lui che chiede "Mi ami? Non lasciarmi. Ti basto?" e alle sue risposte conclude insomma "Ti basto abbastanza".
   

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