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ARIANNA FARINELLI, 'STORIA DI UNA BRAVA RAGAZZA'(Einaudi Stile Libero, pag. 194, Euro 17,50). ''La speranza non l'ho persa però ci vorrà tanto impegno e tanta determinazione - da parte degli uomini e delle donne - perchè le nuove generazioni non debbano convivere con le umiliazioni e il pregiudizio con i quali abbiamo convissuto noi''. A parlare è Arianna Farinelli, una giovane donna, appena quarantenne, con una figlia adolescente che le chiede che cosa abbia fatto la sua generazione per le donne. Come lo chiedeva la generazione prima a quella prima ancora e indietro, e lei risponde che ci siamo illuse di vivere in un mondo in cui la parità esisteva.
Illusione che dura da decenni forse e sembra tenerci ferme sempre allo stesso punto, anzi al massimo si torna un pochino indietro come sta accadendo negli ultimi anni. La politologa va a ritroso infatti in questo libro, 'Storia di una brava ragazza', di appassionata e appassionante autobiografia in cui parte dalla sua infanzia nella periferia romana. ''Sei solo tu che puoi darti un valore, dice. Io ti conosco, conosco la tua storia. Ecco forse dovresti provare a raccontarla''. E lo fa scegliendo il racconto autobiografico appunto, partendo dal sesso di sua madre, ''l'ingresso di una tana, l'entrata di una grotta che la natura aveva ricoperto con un fitto intreccio di piante rampicanti, quell'oggetto misterioso che segna la differenza tra uomo e donna''. ''Dove non arriva il diritto forse può arrivare l'arte'', chiosa la moderatrice di un convegno di giuristi sui diritti delle donne dove si trova a leggere proprio quelle pagine, e se ne vergogna, accolta da una esplosione di applausi. Prima però arriva la vita ed è quella che Farinelli racconta in queste pagine, i soprusi dell'infanzia di borgata, le molestie e la violenza che alla fine si ha il coraggio di raccontare alle amiche (''Di certo a tutte, nessuna esclusa, era capitato di pensare che fosse colpa nostra''), l'essere schedata per le misure come un animale (''i compagni di classe ci mettevano i voti quando uscivamo dagli spogliatoi''), la solitudine, il desiderio di riscatto sociale e la voglia di fuga, fare la differenza con il rispetto conquistato con valore negli studi, la nuova vita a New York (''Arrivai a New York nell'estate del 2000, uno dei tanti cervelli in fuga che andava a specializzarsi lì. Partii senza indugi, carica di speranze, come se la strada per l'estero fosse più percorribile e meno accidentata di quella che dal mio quartiere portava in centro'') l'amore e il tradimento, la famiglia e l'abbandono. Ci si ritrova alla fine a doversi reinventare come persona a capire che tutto quello che è accaduto è conseguenza di altro. ''La nostra generazione ha creduto a lungo che il sessismo fosse un tema del passato, un fatto superato dal progresso. E quindi per molti anni abbiamo rinunciato a parlarne, a scriverne''. Non rinunciare, alla fine, è la parola d'ordine.
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