Sette imprese su 10 si stanno
attrezzando per contrastare gli effetti negativi dei possibili
dazi Usa. Emerge da un recente sondaggio di Unioncamere e Centro
studi Tagliacarne che mostra anche che sebbene le vendite
italiane negli States rappresentino una quota significativa del
nostro export, la capacità di diversificazione dei mercati (11
quelli mediamente raggiunti dalle aziende italiane) potrebbe
contenere almeno in parte il peso delle nuove barriere
economiche.
Ne hanno discusso oggi i presidenti delle Camere di commercio,
giunti a Roma per l'Assemblea di Unioncamere.
"Il 43% delle imprese interpellate da una analisi di Ipsos resa
nota oggi è convinto che la Camera di commercio possa offrire un
valido supporto nell'accesso ai mercati esteri e quasi la metà
pensa che le Camere di Commercio possano continuare ad essere un
punto di riferimento per affrontare le sfide future", ha
sottolineato il presidente di Unioncamere, Andrea Prete.
"Soprattutto le imprese di piccola dimensione vanno aiutate
visto che, secondo le nostre stime, oltre 7 miliardi di euro di
export aggiuntivo potrebbero venire proprio da queste".
L'effetto dazi
Il primo effetto che le barriere commerciali del governo Usa
potrebbe determinare, dicono le imprese, è la riduzione
dell'export (il 56% delle imprese che subiscono un impatto da
queste politiche indica questa limitazione). Al secondo posto
(26%) c'è l'aumento dei costi di approvvigionamento. Al terzo
posto (22%) è segnalata la riduzione delle vendite di beni
intermedi e semilavorati che sono incorporati in prodotti di
altri paesi per il mercato USA. Circa un'impresa su cinque
(19%), inoltre, si aspetta un aumento della concorrenza da parte
di altre imprese che potrebbero spostare i mercati di vendita
dagli Stati Uniti all'Ue. Sette imprese su 10, però, sono pronte
a rispondere, aumentando i prezzi di vendita (ipotesi dichiarata
dal 33% delle aziende), ricercando nuovi mercati nella Ue (25%)
o extra-UE (18%), aumentando/spostando la produzione negli Usa
(lo dichiara solo il 3%).
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