Nel nostro Paese si è iniziato a
parlare della professione di interprete di Lingua dei segni
(Lis) ormai più di trent'anni fa e, da allora, chi la esercita
ha "compiuto un lungo cammino fatto di miglioramenti e
specializzazione della formazione, di riflessione sul proprio
ruolo nei confronti dell'utenza e della committenza, di
specializzazione tecnica e riflessione etica". E' partito da
questa premessa il convegno che si è tenuto stamattina, a Roma,
nella sede del Senato, su impulso dell'associazione di categoria
Anios, presieduta da Lucia Rebagliati, a cui hanno preso parte,
tra gli altri, il presidente di Federnotai Giovanni Liotta ed il
direttore di Confprofessioni e Fondoprofessioni Franco Parente.
L'interprete della lingua dei segni, ha detto Rebagliati,
riveste un ruolo "che ancora oggi patisce i confini legati alla
considerazione di professione sociale agli occhi dei non addetti
ai lavori, ma che è, invece, fortemente improntato ai servizi
linguistici, pur non dimenticando la particolarità dei fruitori
dei nostri servizi. Come associazione di categoria professionale
abbiamo il dovere di mettere tutti in guardia dai rischi legati
all'accessibilità a tutti costi: l'accessibilità deve essere
necessariamente professionale. Altrimenti, a pagarne le spese
sarà proprio quell'utenza che invece si intende come
destinataria", ha sottolineato. Nel corso dell'iniziativa sono
stati presentati gli esiti di un sondaggio compiuto su un
campione rappresentantivo di interpreti Lis: la professione è
"decisamente femminile" (87,7%) e tra i settori in cui operano,
"spicca l'ambito educativo (62,7%), in cui molto spesso i
professionisti in possesso di qualifica da interprete vengono
assorbiti nel ruolo di assistenti alla comunicazione all'interno
delle scuole".
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