Un "motivo scatenante non c'è", ma per Beppe Marotta l'addio alla Juventus è comunque "doloroso", soprattutto perché "voluto dalla società" dopo otto anni di vittorie sul campo e non solo. I bianconeri che fanno il vuoto in campionato, e che martedì affrontano lo Young Boys in Champions, salutano il 'Pallone d'Oro' dei dirigenti sportivi, lasciando i tifosi a interrogarsi sul futuro. "Ho fatto crescere tanti dirigenti, credo e spero possano essere il domani", dice lo stesso Marotta, aprendo così alla successione interna.
In pole position Fabio Paratici, una sua creatura, e Pavel Nedved, attuale vicepresidente vicinissimo ad Andrea Agnelli. Il nome del nuovo amministratore delegato andrà individuato nella lista dei consiglieri, che verrà resa nota domani e nella quale non comparirà Marotta, come da lui annunciato dopo la bella vittoria contro il Napoli. Un fulmine a ciel sereno, nessuna nube all'orizzonte che lasciasse immaginare un simile temporale. Guai però a dirgli che la Juve lo ha mandato via. "Mandar via è un termine troppo forte - sostiene - Sono un uomo d'azienda e sposo questa linea. Mi adeguo a quelle che sono le loro idee e le loro direttive, per amore sia delle persone che della stessa Juve, certo di avere dato in questi anni il 100%". Sette scudetti consecutivi e due finali Champions, anche se perse, sono il biglietto da visita di un manager arrivato che il club, tra Calciopoli, serie B e qualche scelta sbagliata, non vinceva quasi da dieci anni.
"Ho vissuto tante emozioni - sottolinea Marotta - e sono state tutte belle". In cima il primo scudetto, quello con Conte in panchina, "perché eravamo giovani e neofiti". E perché la vittoria era "imprevista", ma "con il lavoro e la dedizione siamo riusciti a colmare il gap con le avversarie". "Credo anche di aver accompagnato il presidente Agnelli nella crescita. Lui oggi è grato di essere protagonista dello sport, nazionale ed internazionale. Queste sono le pagine belle, indimenticabili", dice, il tono pacato e le parole misurate anche ora che la delusione è inevitabile. "Ho trascorso quarant'anni consecutivi ininterrottamente in società, ed è la prima volta che mi fermo durante il campionato. Forse ho bisogno di ricaricarmi...". Il tempo di andare in pensione, però, è ancora lontano. "Smentisco la mia candidatura alla Federcalcio, perché non è una mia scelta - ribadisce - ma non escludo di accasarmi in un altro grande club". Difficile vederlo con un altro club già in questa stagione, anche se Napoli e Roma sembrano avere già fatto un sondaggio. "Mi piacerebbe - ammette - essere ai nastri di partenza della stagione 2019-2020 al timone di un'altra squadra". In mezzo la finale di Champions, il prossimo primo giugno, quella che fino a ieri sperava di tornare a raggiungere con la Juve. "Sarei orgoglioso - ammette - di esserci...".
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