Arrestato, fotografato in manette tra
due carabinieri e così proposto all'opinione pubblica sui
giornali ed in tv; condannato in primo grado; infine assolto con
formula piena: sono passati 35 anni da quel 18 maggio 1988
quando morì Enzo Tortora, il popolare presentatore televisivo,
la cui vicenda è divenuta simbolo, spesso tuttora evocato,
dell'errore giudiziario. L'incubo, per Tortora, era finito meno
di un anno prima: accusato di aver fatto parte della Nuova
Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, il 15 settembre 1986 la
Corte d'appello di Napoli, in un'Italia divisa tra colpevolisti
e innocentisti, lo aveva assolto dall'accusa di associazione
camorristica, giudicando inattendibili i pentiti che lo
accusavano. La sua innocenza fu confermata definitivamente dalla
Cassazione il 13 giugno 1987. L' inchiesta nei riguardi di Enzo
Tortora cominciò nei premi mesi del 1983, quando Pasquale Barra
e Giovanni Pandico, personaggi di rilievo della Nuova Camorra
Organizzata (Nco) decisero di dissociarsi dall' organizzazione e
di collaborare con gli inquirenti. I due pentiti indicarono
Tortora, "quello di Portobello" (popolarissima trasmissione
televisiva dell'epoca, che egli conduceva) quale appartenente
alla Nco con l' incarico di corriere di stupefacenti. Il
giornalista e presentatore televisivo fu arrestato a Roma il 17
giugno di quell'anno, nel corso di un'operazione diretta dalla
Procura di Napoli per l' esecuzione di 856 ordini di cattura.
Tortora fu bloccato all' alba in un albergo del centro di Roma,
ma fu portato in carcere in tarda mattinata, solo quando -
secondo i difensori - fotografi e cineoperatori, avvertiti,
furono pronti a ritrarre il presentatore con le manette ai
polsi. Fin dal primo momento Tortora si disse innocente,
nonostante crescesse continuamente il numero dei pentiti che lo
accusavano. In cella scrisse numerose lettere, continuando ad
urlare la sua innocenza, molte delle quali indirizzate alla
figlia Silvia, morta lo scorso anno, che le pubblicò in un libro
dal titolo 'Cara Silvia', e che non smise mai di lottare per la
completa riabilitazione del padre. Dopo sette mesi di detenzione
in carcere, ottenne gli arresti domiciliari, quasi in
coincidenza con il pentimento di un rapinatore, Gianni Melluso,
detto Gianni il bello, che raccontò di consegne di stupefacenti
da lui fatte a Tortora per conto del boss milanese Francis
Turatello. Dichiarazioni poi ritrattate dallo stesso Melluso,
che mosse anche accuse, risultate infondate dopo una lunga
inchiesta della magistratura di Potenza, nei confronti di
magistrati e investigatori che si erano occupati proprio del
caso del presentatore televisivo. Enzo Tortora fu eletto
eurodeputato radicale il 17 giugno 1984. Il 20 luglio 1984 tornò
in libertà e annunciò che avrebbe chiesto al Parlamento europeo
di concedere l'autorizzazione a procedere nei suoi riguardi;
autorizzazione che fu data il 10 dicembre di quell'anno.
Rinviato a giudizio, il 4 febbraio 1985, Enzo Tortora comparve
davanti al Tribunale di Napoli, ribadendo ai giudici la sua
innocenza, in contrasto con le accuse dei pentiti. Il 17
settembre arrivò la sentenza di primo grado: condanna a dieci
anni di reclusione per associazione per delinquere di tipo
mafioso e traffico di stupefacenti. Un anno dopo, il 15
settembre 1986, la Corte di Appello di Napoli rovesciò il
verdetto: Tortora fu assolto con formula piena, i pentiti
giudicati non credibili. "E' la fine di un incubo", disse. La
prima sezione penale della Cassazione confermò definitivamente
l'innocenza del presentatore il 13 giugno 1987. Meno di un anno
dopo, il 18 maggio 1988, Enzo Tortora morì per un cancro ai
polmoni.
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