(di Roberto Nardi)
Una miriade di spunti di
riflessione, di progetti architettonici fattibili, non di
fantastiche utopie, per dare risposte "a una delle sfide più
importanti del nostro tempo: l'adattamento a un mondo alterato".
Carlo Ratti, curatore della 19. Mostra Internazionale di
Architettura della Biennale di Venezia, dal 10 maggio al 23
novembre prossimi, parla di "un esperimento" che, attorno al
tema del costruire per garantire all'umanità una sopravvivenza,
chiama in campo più saperi, più forme di intelligenza -
naturale, artificiale, collettiva - e guarda alle ricerche che
vengono compiute nello spazio come possibili soluzioni non per
traslocare in altri pianeti o navicelle, ma per migliorare il
nostro essere sulla Terra.
"Per decenni - rileva Ratti -, l'architettura ha risposto
alla crisi climatica con la mitigazione: progettare per ridurre
il nostro impatto sul clima"; adesso è tempo di cambiare, è il
momento "che l'architettura passi dalla mitigazione
all'adattamento" e questo richiede "un cambiamento radicale
della nostra pratica", serve ripensare "l'ambiente costruito".
Questo non significa fare affidamento solo sulla sirena
dell'intelligenza artificiale, ma fare sì che questa si unisca
in un dialogo-confronto-unione con quella naturale - dai batteri
alle piante - e quella collettiva, quella che potrebbe essere
riassunta nel termine"gens", che assieme alla radice "Intelli"
compone il titolo dell'esposizione (Intelligens. Natural.
Artificial. Collective.).
Una sfida epocale, che Ratti ha risolto dando vita a una
Biennale di Architettura che attraverso più di 250 progetti e
750 partecipanti sa offrire un livello fondamentale di domande
che investono il clima, il sociale e una proposta
espositiva-installativa quanto mai variopinta, coinvolgente,
dinamica. Punto nodale del progetto curatoriale sono gli spazi
delle Corderie all'Arsenale dove l'apertura è un colpo allo
stomaco che ha il valore di un enunciato: una sala molto calda -
con una installazione acquatica di Michelangelo Pistoletto -
dominata da macchinari per l'aria condizionata, che dice che il
nostro stare al fresco in stanze chiuse significa concorrere ad
aumentare le temperature esterne.
Il percorso della mostra - articolato in tre sezioni più una
quarta intitolata "out" - è quanto mai fluido, segnato
soprattutto da interventi installativi che parlano della
crescita della popolazione mondiale, della necessaria
integrazione tra umanità e forme viventi non umane, di recupero
degli scarti per nuove edificazioni sostenibili - anche delle
rovine provocate dalle bombe in Ucraina - del possibile uso del
Dna vegetale per immagazzinare dati, per nuovi materiali
derivanti dalle alghe, dalle banane, dal rapporto con i robot,
dalla trasformazione delle ceneri provocate dagli incendi, come
a Los Angeles, in strutture, al possibile futuro di un nucleare
pulito con le centrali proposte da Newcleo e progettate da
Pininfarina. Spazio anche alle sperimentazioni come l'usare
l'acqua della laguna, adeguatamente trattata in modo naturale e
controllata sul piano sanitario, per fare il caffè.
Lungo gli spazi dell'Arsenale e in varie punti della città,
da Piazza San Marco ai vari palazzi, si dipanano soluzioni che
affrontano questioni che bussano alle porte, che chiedono
interventi, che riguardano la stessa sopravvivenza del genere
umano. È in sostanza una Biennale del presente, dell'urgenza del
fare, che elegge Venezia a "laboratorio dinamico" e riunisce
architetti che hanno smesso i panni dei "demiurghi" e ingegneri,
matematici, scienziati, artigiani, artisti, filosofi, cuochi,
intagliatori di legno e altre realtà professionali perché
"l'adattamento richiede incisività e collaborazione".
Riguardo all'idea di Venezia come laboratorio, il presidente
della Biennale Pierangelo Buttafuoco ha detto che va inteso come
"il farsi opera. Io voglio arrivare alla bottega, al dar senso
al farsi della bottega dove si incontrano le generazioni, le
esperienze, le sensibilità, le competenze, Si incontra
l'elemento fondante di questa fatica chiamata arte ed è il
rapporto Cimabue-Giotto. Mi piace che Venezia attraverso la
Biennale restituisca alle sensibilità del mondo una possibilità
di essere bottega dove si imparano tutte le discipline
dell'arte". Il presidente ha quindi evidenziato, sulla base
dell'esperienza della Biennale, l'attenzione che c'è nell'altra
parte del mondo verso Venezia. "Mi avventuro in un paradosso:
quel che New York è stata per l'Occidente adesso è Venezia per
il mondo che verrà e il mondo che verrà è quel pezzo di dinamo,
di energia che è l'Africa e quel pezzo di giacimento delle
energie che è l'Asia".
Quest'anno, il Padiglione Centrale è in restauro, favorendo
così la disseminazione dei progetti in città e il suo essere
"laboratorio vivente", e i Giardini accolgono dei progetti
all'esterno e sono dedicati soprattutto ai Padiglioni stranieri
(quello di Israele è chiuso).
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