L'Italia detiene il primato mondiale
dei principali fornitori di vini premium al mondo, ma è anche
supplier numero 1 di vini Entry level e Popular. Quello che
manca all'appello sono i vini posizionati nelle fasce più alte,
attestati per quanto riguarda l'Italia al 2% volume (e al 9%
valore), contro il 42% della Francia e il 30% dei vini
statunitensi. A rilevarlo l'analisi, rilasciata oggi a Verona
in occasione dell'apertura di manifestazione, dell'Osservatorio
del Vino Uiv (Unione italiana vini)-Vinitaly su base Iwsr "che
stima un valore al consumo della superpotenza enologica italiana
pari a 29,9 miliardi di dollari". Il report sottolinea come la
leggerezza valoriale italiana proprio nel segmento di prezzo,
quello luxury, a maggior crescita potenziale nei prossimi anni
(+2% annuo da qui al 2028) comporti un fattore di debolezza
commerciale che rischia di accentuarsi nel medio-lungo periodo.
Nei vini Deluxe (oltre i 25 dollari al dettaglio e a partire da
8 dollari alla cantina) lo share italiano sul totale mondo
arriva infatti - segnalano gli analisti - "appena al 10% (2,8
miliardi di dollari), contro il 47% del competitor francese e il
29% statunitense". Diverso il quadro alla base e al centro della
piramide, con l'Italia leader in entrambe le fasce. Gli Entry
level e Popular del Belpaese (fino a 15 dollari allo scaffale
sotto i 5 alla cantina), sono leader delle vendite con una quota
sul totale segmento pari al 23% e un controvalore al consumo
pari a 15,9 miliardi di dollari. Primato bissato anche per i
Premium, con l'Italia principale fornitore con una quota sulla
categoria che arriva al 30% (11,2 miliardi di dollari). "Stiamo
però parlando di una fascia che - a dispetto del nome e
dell'aura premium con cui li si ammanta - rappresenta -
sottolinea il report - prodotti medio-alti che escono dalle
cantine tra i 5 e gli 8 dollari al litro e che finiscono sugli
scaffali di tutto il mondo con un range di listino che varia dai
15 ai 25 dollari (il Prosecco negli Usa è il caso più
emblematico).
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