Quando si parla di errori giudiziari, la mente corre inevitabilmente al caso Tortora, una vicenda che scosse il Paese e resta emblematica di una situazione che annovera tuttora, purtroppo, molti esempi. Sono passati 33 anni da quel 17 giugno 1983, quando Enzo Tortora fu ammanettato, fotografato e così proposto all'opinione pubblica. L'inchiesta su di lui iniziò nei primi mesi del 1983, quando Pasquale Barra e Giovanni Pandico, personaggi di rilievo della Nco, la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, decisero di dissociarsi e di collaborare con gli inquirenti. I due pentiti indicarono Tortora quale appartenente alla Nco con l'incarico di corriere di stupefacenti e il presentatore tv fu arrestato nel corso di un'operazione della Procura di Napoli per l'esecuzione di 856 ordini di cattura. Tortora fu bloccato all'alba in un albergo di Roma. Fin dal primo momento si disse innocente. Dopo sette mesi di carcere, ebbe i domiciliari.
Il 17 giugno 1984 fu eletto eurodeputato con i Radicali. Il 20 luglio 1984 tornò in libertà e annunciò che avrebbe chiesto all'Europarlamento di concedere l'autorizzazione a procedere nei suoi riguardi; autorizzazione che fu data il 10 dicembre. Il 17 settembre 1885 il Tribunale di Napoli pronunciò la sentenza: 10 anni di reclusione per associazione per delinquere di tipo mafioso e traffico di stupefacenti. Un anno dopo, il 15 settembre 1986, la Corte di Appello rovesciò il verdetto: Tortora fu assolto con formula piena, e i pentiti furono giudicati non credibili. "E' la fine di un incubo", disse il presentatore. La sua innocenza fu definitivamente confermata il 13 giugno 1987 dalla Cassazione. Meno di un anno dopo, il 18 maggio 1988, Tortora morì per un cancro ai polmoni.
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