Ci sono voluti otto anni e due
gradi di giudizio a un piemontese affetto dalla 'sindrome da
Talidomide' per vedersi riconosciuto il diritto a essere
indennizzato dal Ministero della Salute: sia il tribunale del
lavoro di Alessandria che la Corte d'appello di Torino - con una
sentenza depositata nei giorni scorsi - gli hanno dato ragione
nonostante l'opposizione del dicastero. Ora potrà reclamare
circa un milione di euro, relativi agli arretrati dal 2008, più
una somma per ogni bimestre da qui in avanti.
Il ricorrente, cinquantottenne, è portatore dalla nascita di
una malformazione al braccio sinistro che risulta compatibile
con gli effetti della Talidomide, farmaco che in Italia fu
venduto tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio degli
Sessanta principalmente come prodotto per le donne in stato di
gravidanza. Nel 2017, in forza di una serie di norme varate
dallo Stato nel corso del tempo, l'uomo presentò la domanda per
un indennizzo ma la Commissione competente, dopo un primo parere
favorevole, fece marcia indietro sostenendo che mancava la prova
del nesso causale: in questo caso, la dimostrazione che la mamma
aveva assunto la Talidomide.
Nel 2023 citò in giudizio il ministero della Salute e, con
l'assistenza degli avvocati Erika Finale e Renato Ambrosio, che
si sono avvalsi della consulenza tecnica del medico Raffaele
Barisani, di Trieste, si è imposto in entrambi i gradi di
giudizio. Gli avvocati fanno presente che fino ad oggi "le somme
dovute non sono state versate".
La mamma dell'uomo (come lei stessa ha dichiarato e come
confermato da un'amica di famiglia) aveva assunto la Talidomide
nelle prime fasi della gravidanza in dosi di 'Contergan', un
farmaco della tedesca Grunenthal, dietro regolare prescrizione
del medico curante. Una delle obiezioni del ministero si
riferiva al fatto che il piemontese è nato nel 1967, in epoca
successiva al ritiro del prodotto, e in ogni caso al di fuori
della 'finestra' temporale (1958-1966) indicata in un decreto
del 2017. "Ma il punto - osservano gli avvocati del ricorrente -
è che il diritto all'indennizzo spetta anche ai soggetti che
presentano malformazioni compatibili con la sindrome". Peraltro,
sempre secondo quanto hanno sottolineato i legali, la Talidomide
è rimasta in circolazione anche in seguito come "prodotto da
banco" e come "galenico". Altri aspetti sono stati dibattuti nel
corso del procedimento e la discussione è stata piuttosto
accesa, tanto che, nella sentenza, la Corte d'appello ha
dedicato un cenno ai "toni talvolta decisamente aspri" adoperati
dal consulente del ministero. "La controparte - spiega Barisani
- ha sostenuto che la malformazione deve essere bilaterale (vale
a dire a entrambi gli arti - ndr) ma la monolateralità è stata
dimostrata dalla letteratura. Poi ha affermato che esistono
malattie genetiche la cui origine è ancora sconosciuta e che
quindi non è possibile determinare con certezza il nesso di
causa. Insomma, si è opposta a una situazione riconosciuta in
tutto il mondo. E ho percepito con chiarezza una certa acredine
non da parte dell'istituzione in sé, ma dei suoi
rappresentanti". "Per quel che mi riguarda - ha commentato
l'avvocato Ambrosio - le cause posso vincerle o perderle. Ma i
toni devono essere corretti. Sempre. E la controparte qui ha
mostrato di non avere rispetto per il ricorrente".
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