(di Paolo Petroni)
Quando Umberto Tirelli morì nel 1990
a 62 anni, l'azienda che portava il suo nome aveva 26 anni, ma
era già un nome che significava altissima sartoria teatrale e la
cui storia era legata a registi come Luchino Visconti e Luca
Ronconi, di costumisti quali Piero Tosi e Pierluigi Pizzi. Oggi
che sono passati altri 25 anni e la sartoria Tirelli festeggia
il mezzo secolo di vita, è divenuta, nel mondo, un punto di
riferimento per chiunque faccia spettacolo, teatro, lirica,
cinema, tv e voglia 'Vestire i sogni', come si intitolava
l'autobiografia di Tirelli.
A portarne avanti il lavoro è stato il suo compagno d'arte e
sogni Dino Trappetti con l'aiuto degli artisti legati alla
sartoria e con tutti gli artigiani di altissima qualità che vi
lavoravano e ne sono la vera ricchezza. "All'inizio furono
momenti duri, ma anche grandi e di meravigliose emozioni come
quando, solo quattro anni dopo, Gabriella Pescucci, che aveva
lavorato instancabilmente tra Roma e New York, vinse l'Oscar per
i costumi del film L'età dell'innocenza di Martin Scorsese,
primo grande impegno affrontato dalla sartoria nel dopo
Tirelli", come ricorda oggi Trappetti, senza dimenticare l'altro
Oscar legato al lavoro della sartoria, nel 1997, andato ad Ann
Roth per i costumi del Paziente inglese di Anthony Minghella. Ma
di Oscar ormai ce ne sono tanti, vinti con Danilo Donati, Teodor
Pistek, Franca Squarciapino e due dei suoi tre con Milena
Canonero, mentre Piero Tosi, che è un po' il nume tutelare della
sartoria, l'Oscar lo ha avuto nel 2007 alla carriera.
Per festeggiare i 50 anni, dopo una mostra con i costumi di
Tosi al Festival di Spoleto e il salone d'onore nella mostra I
vestiti dei sogni di cento anni di cinema italiano a Palazzo
Braschi, si annuncia una mostra dei costumi 'from Tirelli
Atelier' al Museum of the moving art di New York a giugno e
esce in questi giorni un grande volume, 'Tirelli 50 - Il
guardaroba dei sogni' edito da Skira. Sono 350 pagine ovviamente
ricchissime di immagini, ma anche con un bell'apparato di
ricostruzione storica di questi cinque decenni di attività,
realizzato da Caterina D'Amico, mentre sua sorella Silvia ha
incontrato molti costumisti per farsi raccontare e riferire come
lavora la sartoria e come lavorava Umberto Tirelli, alla cui
figura e vicenda è dedicato l'intervento d'apertura firmato dal
terzo dei fratelli D'Amico, Masolino. Mentre Trappetti, in
alcune asciutte ma commosse pagine, ricostruisce il suo
sodalizio con Umberto nato nel 1960 e la prosecuzione
dell'avventura senza di lui e oggi dice che sta pensando a un
grande Museo del Costume.
Quando Tirelli, finita l'avventura del Gattopardo con
Visconti, nell'estate del 1964 decise di mettersi in proprio
come sarto teatrale, avendo solo due macchine da cucire e pochi
collaboratori. Da allora è stata un'escalation inarrestabile
sino a oggi, mentre la crisi si sente anche nella vecchia
sartoria di Prati, ma si continua a lavorare con lo spirito che
fu di Tirelli, il quale amava dire "Tutti i soldi guadagnati li
ho sempre reinvestiti qui, nella mia attività, e nel cercare e
comprare abiti di ogni genere". E' così però che è nata quella
immensa collezione conservata nei giganteschi (5mila metri
quadri) magazzini di Formello, vera ricchezza della Tirelli, con
migliaia di abiti storici originali, dal '700 a oggi, e decine e
decine di migliaia di costumi realizzati negli anni, che oggi si
affittano ai più grandi costumisti e registi di tutti i paesi ed
è la vera ricchezza della Tirelli: lì sono gli abiti creati da
un'artista come Lila de' Nobili o quelli di Tosi, perfetti e
tutti controllati personalmente da Visconti con maniacale
precisione per i particolari, per le stoffe e i merletti veri,
per Ludwig o per Morte a Venezia, per citare due classici, cui
si sono aggiunte nel tempo mille altre cose particolari e
curiose, dalle corazze per i protagonisti di Troy alle tuniche
insanguinate per il Cristo di La passione di Cristo di Mel
Gibson.
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