MARIO FORTUNATO, 'LE VOCI DI BERLINO' (BOMPIANI, pp. 190 - 17,00 euro).
Ci sono due livelli, due narrazioni in quest'ultimo libro di Mario Fortunato, che sono intrise una dell'altra, quella di quasi cent'anni di storia culturale sociale di Berlino, città cruciale del Novecento sin dall'inizio del secolo, quando era il centro d'Europa e ''tutto ciò che era sperimentale e inconsueto veniva da lì'', e quella della scoperta del modo diverso di vivere gli amori omosessuali, a partire dagli anni Venti, quando vi arrivano Christopher Isherwood e Wystan Auden.
E' l'epoca in cui tutti smettono di guardare per un po' a Parigi e sono attratti dalla vitalità della capitale tedesca. Ci vanno anche Luigi Pirandello e Rosso di San Secondo e poi, per esempio, Igor Stravinskij e Arnold Schoenberg e la vita ferve tra Bauhaus e il teatro di Brecht, ''città paradossale e turgida dipinta da Otto Dix e Gerog Grosz, metropoli moderna e stracciona de L'opera da tre soldi, luogo della perdizione incarnato da Marlene Dietrich ne L'angelo azzurro''.
E questa ''perdizione'' si rivela in verità, alla fine del libro, ma anche prima, una via per ritrovarsi, per non rimanere ingabbiati nel banale, nel vuoto, nel convenzionale, in nome della vita e dei sentimenti. Ad aiutarci a capirlo, oltre all'alternarsi di storia privata dell'autore e Storia, c'è una sorpresa: cenni dall'inedito diario berlinese di Auden cui Fortunato ha avuto accesso, che ci apre le porte sul passato, in cui comunque far rispecchiare anche la storia successiva. ''Nei locali di Berlino, quella segreta liberazione assumeva connotati più grandiosi che altrove, non solo perché possedeva una storia che risaliva ai primi del Novecento, ma perché deflagrava in se stessa, esaltando le sue anime diverse'', annota Fortunato, dopo la caduta del muro e la scoperta che nella ex parte est tutto era rimasto più immutato, più semplice. Insomma le voci di una Berlino di dentro, delle persone e del loro vissuto, che inseguiamo di storia in storia, di personaggio in personaggio. Naturalmente Auden e poi il suo incontro con John Layard, ''bisessuale dalla vita molto avventurosa'' e anticipatore della psicosomatica, che ebbe grande influenza sul poeta, cui ''il sesso piaceva molto, catastrofiche conseguenze incluse'', e mille altre vicende tra l'erotico e l'intellettuale. Ecco quindi Marinus van der Lubbe, deto Rinus, ragazzo muratore ex comunista olandese ritrovato intontito dal fumo nel Reichstag cui aveva dato fuoco nel 1934 e per questo condannato a morte. E dall'altra parte i figli di Thomas Mann dalla vita spericolata, Klaus e Ereika, quest'ultima che sposa l'omosessuale Gustaf pur essendo legata sentimentalmente alla figlia di Wedekind, Pamela. Quindi si arriva alla Berlino del dopoguerra, quella distrutta, sofferta e lacerata, dove Fortunato incontra S. e poi racconta la storia paradossale di Gerd Schafer, attore che dall'Ovest passa all'est, andando controcorrente, dove ottiene un qualche successo ma la sua vita privata diventa tragica. E, andando sempre più avanti nel tempo, ecco l'amica Victoria, poi Giuseppe e Schwen, quindi l'artista di successo Monica, con la quale siamo già transitati nel nuovo millennio. Berlino è tornata viva e ora, che si ha in mano il filo della sua storia, ci si può perdere liberamente.
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