KEVIN BARRY, 'IL FIORDO DI KILLARY' (ADELPHI, pp. 172 - 17,00 euro - traduzione di Monica Pareschi).
La ricchezza della letteratura irlandese è forse legata al carattere della sua gente, all'accesa fantasia che si perde nei fumi della sbronza da birra, nei racconti che si scambiano al pub, mentre fuori piove e fa freddo. Almeno così potrebbe apparire da questa bella raccolta di racconti di Kevin Barry, che non ha 45 anni e non a caso è nato a Limerick, dal piacere del suo raccontare con una scrittura precisa e nitida, molto ben reso dalla traduzione di Monica Pareschi.
Ecco allora che scopriamo un'Irlanda intorpidita dal bere e con risvolti neri, con i boccali a scandire il passare delle ore e il loro riempirsi lento, con una violenza reale o solo fantasticata (come nel racconto Atlantic City su una sala giochi), con la mancanza di immaginazione del ragazzo appena uscito dal carcere che riprende la vita e l'attività di prima o quella invece eccessiva e tormentosa che finisce per bloccarlo rispetto alla realtà di un giovane di Cork salito su un tetto con una ragazza. Ma tutto è visto con uno sguardo oggettivo quando non ironico, così che le ombre dark possono diventare umoristiche, e comica la paradossale tragedia dell'esistenza, l'assurdo delle situazioni, come nell'Hotel sul fiordo di Killary, dove monta un'alluvione, si allaga il pianterreno e tutti passano al piano di sopra: "Bevemmo. Sospirammo. Ridemmo come gatti", presi nelle proprie faccende, amori o lotte, come nulla fosse, come estranei al mondo.
"Quando si scrive di alcolizzati, si scrive di solitudini. Di un certo tipo di solitudine che si anestetizza in modi strambi" in un'alleanza tra clienti e barman, in un cerchio di inespressa solidarietà maschile, perché di un mondo senza donne si tratta, e quando ne arriva una allora tutto si complica. Le apparenze rischiano di cadere, il noir di farsi strada, la noia e nevrosi farsi cattiveria solo apparentemente gratuita. E non ci si ferma davanti a nulla, come dimostra la storia sorprendente di Ernestine e Kit. Nei pub quel che vien meno presto sono le sicurezze, il tono che ci si dà fuori, così che si aprono scenari nuovi in cui tutto può accadere, visto che vengono alla luce impotenze, illegalità, arroganza di persone senza una identità sicura e in cerca di una qualche rivalsa, ma sempre all'interno della loro minima quotidianità, dove un piccolo particolare, un sorriso o una parola malintesa, diventa qualcosa di grande, che riempie le ore, che forse fa sentire un po' meno soli. E questo vale per Barry anche se ci sposta dalla sua Irlanda, come accade in Berlino, Arkonaplatz: la mia estate lesbica, in una città di creativi, tra Patrick e Silvija, tra scoperta del sesso e della donna, ma anche di un seme inestirpabile di disperazione.
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