(di Giacomo Rizzo)
L'ex Ilva è come un colosso ferito
che stenta a rialzarsi. A meno di una settimana dall'incendio
all'altoforno 1, che ha portato alla chiusura forzata
dell'impianto da parte della magistratura, Acciaierie d'Italia
in amministrazione straordinaria ha comunicato la richiesta di
cassa integrazione per 4.046 lavoratori, di cui 3.538 a Taranto,
178 a Genova, 163 a Novi Ligure, 26 a Marghera, 10 a Legnaro, 36
a Milano (uffici), 15 a Paderno, 20 a Salerno e 15 nella società
collegata Taranto Energia. Ma i numeri sarebbero destinati ad
aumentare, secondo quanto paventato dalle organizzazioni
sindacali. Per l'Usb si potrebbe arrivare a 5.500 dipendenti. La
decisione è stata ufficializzata dall'azienda durante un
incontro in videoconferenza. La misura è stata motivata dalla
riduzione della produzione, pressochè dimezzata, a seguito del
sequestro probatorio dell'altoforno 1. L'indagine, coordinata
dal pm Francesco Ciardo, ha portato all'iscrizione nel registro
degli indagati di tre dirigenti dell'azienda: Maurizio Saitta
(direttore generale), Benedetto Valli (direttore dello
stabilimento di Taranto) e Arcangelo De Biasi (direttore
dell'area altiforni). I reati ipotizzati sono omissione dolosa
di cautele sui luoghi di lavoro e getto pericoloso di cose. A
uno degli indagati viene contestata anche la mancata
comunicazione di un incidente rilevante.
La vicenda ha innescato anche un confronto tra l'azienda e la
magistratura in merito alle autorizzazioni relative alla
manutenzione dell'Afo1. In una nota, la procuratrice di Taranto
Eugenia Pontassuglia ha chiarito che le attività di manutenzione
erano state autorizzate entro i termini di legge, ad eccezione
di quelle ritenute non urgenti o confliggenti con le esigenze
dell'inchiesta. La Procura ha altresì precisato che non risulta
alcuna richiesta relativa al "colaggio dei fusi" - operazione
ritenuta dall'azienda necessaria per evitare un arresto
definitivo dell'impianto - nelle istanze presentate dai legali
di Acciaierie d'Italia. Il sequestro dell'altoforno 1 ha inoltre
effetti sulla trattativa in corso con la società azera Baku
Steel, candidata all'acquisto dell'impianto. Il ministro delle
Imprese e il Made in Italy, Adolfo Urso, ha parlato di impianto
compromesso" e aggiunto che "non ci sarà più la possibilità di
riprendere un livello produttivo significativo come previsto nel
piano industriale". La nuova Aia (Autorizzazione integrata
ambientale) non è ancora stata approvata e potrebbe subire
ulteriori slittamenti.
Notizie che provocano inevitabilmente la reazione dei
sindacati. La Fiom Cgil, ha osservato il coordinatore Siderurgia
Loris Scarpa, "non accetterà percorsi di cassa integrazione
senza alcuna chiarezza sulle prospettive future dell'ex Ilva.
Non può essere che i lavoratori ancora una volta paghino le
conseguenze dell'incapacità di far partire la decarbonizzazione
degli impianti". Secondo il segretario generale della Uilm,
Rocco Palombella, la situazione economica dell'azienda è
critica: le risorse per la manutenzione sono insufficienti e i
finanziamenti ricevuti, incluso il prestito ponte, sono in via
di esaurimento. Palombella ha sostenuto inoltre che si profila
la fermata strutturale di due altiforni (Afo1 e Afo2), con la
sola prosecuzione dell'attività per l'Afo4, salvo nuove
decisioni. L'azienda, a quanto si è appreso, ha comunicato alle
organizzazioni sindacali che già da domani inizieranno le
attività di spegnimento della batteria 9 del reparto Cokerie e
dalla settimana prossima ci sarà la fermata completa della
stessa: tutto il personale sarà collocato in cassa integrazione.
Anche la Fim Cisl, con il segretario Ferdinando Uliano e il
responsabile siderurgia Valerio D'Alò, ha chiesto "un confronto
urgente" con il governo, in particolare per chiarire le
prospettive industriali, le tempistiche dell'Aia e le intenzioni
effettive degli investitori stranieri.
Mentre l'inchiesta segue il suo corso, l'effetto più
immediato è la crisi produttiva e occupazionale.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA