Nessun insulto alla storia, al Manifesto di Ventotene, all'Europa. Ad essere "insultata alla Camera", da una "sinistra che mostra un'anima illiberale e nostalgica sono stata io: sono rimasta sconvolta". Ad una manciata d'ore dal caos generato dalle sue parole in Aula, Giorgia Meloni è passata al contrattacco. Lo ha fatto a margine del vertice dei 27 a Bruxelles, scegliendo di parlare a summit non ancora terminato, forse proprio per dare un peso adeguato alla sua linea sul Manifesto di Ventotene.
Una linea che la vede non arretrare di un millimetro, e che è destinata a rinfocolare le polemiche. Il capo del governo, del resto, è volata a Bruxelles sulla scia della bagarre provocata alla Camera e dell'assolo di Roberto Benigni su RaiUno a difesa dell'Ue. Il tema è stato anche al centro della cena che Meloni, mercoledì sera, ha organizzato in un albergo della capitale belga con gli eurodeputati Fdi e i ministri Francesco Lollobrigida e Tommaso Foti.
Una cena informale, segnata da selfie e sorrisi. Un appuntamento durante il quale, secondo diversi presenti, i convitati hanno destinato una standing ovation alla premier per le sue parole su Ventotene. Parole giudicate, hanno spiegato le fonti, "una geniale" mossa tattica nei confronti dell'opposizione. Tanto che qualcuno a tavola avrebbe ironizzato: la mossa meriterebbe "i 92 minuti di applausi che ha Fantozzi sulla Corazzata Potemkin".
Fonti di Palazzo Chigi hanno tuttavia smentito categoricamente quanto è emerso dalle ricostruzioni della cena. Meloni, hanno sottolineato le fonti del governo, non ha mai definito la sua citazione del Manifesto "una trappola" in cui sarebbero "cascati esponenti dell'opposizione con reazioni isteriche", né "una mossa mediatica" che "ha fatto impazzire la sinistra". Un dato, tuttavia, è certo. Nel dibattito politico, piuttosto che dei dossier sul tavolo del vertice dei 27, si è parlato di Ventotene. E il caso è destinato a non spegnersi.
"Ricordo straordinari editoriali di Eugenio Scalfari dove insegnava che l'unica forma di democrazia è l'oligarchia, è un concetto che non condivido. Chiedo alla sinistra quale messaggio vuole dare distribuendo oggi quel testo", ha osservato Meloni, andando a toccare uno dei punti di riferimento della sinistra liberale italiana. E' solo nelle pieghe della battaglia politica sul Manifesto del 1941 che sono emerse le criticità rivendicate dalla premier al vertice Ue. Meloni, oltre al dossier migranti, si è concentrata sul tema del riarmo. In un bilaterale con Ursula von der Leyen ha ribadito la sua posizione: "Serve puntare su strumenti davvero comuni che non pesino sul debito nazionale".
Strumenti che, tuttavia, non potranno essere gli eurobond. Il muro dei frugali, in questo caso, è invalicabile. E allora l'Italia sta aumentando il suo pressing su un piano B che poggia sull'idea di "mettere garanzie europee sugli investimenti privati". Una proposta, ha sottolineato Meloni, che in Ue è stata accolta. La freddezza della premier sul RearmEu, a quanto si apprende da alcune fonti diplomatiche europee, è emersa anche al tavolo del summit, dove il capitolo difesa è stato adottato dopo cena. "Le risorse sembrano molte ma sono virtuali", ha sottolineato Meloni anticipando che non deciderà se attivare o meno la clausola di salvaguardia entro aprile, come chiede Bruxelles. C'è infine un altro aspetto sul quale Meloni terrà il punto: il boom agli acquisti di armi non può essere segnato solo dal 'buy European'.
"Escludere l'industria Usa è un errore", ha avvertito il ministro degli Esteri Antonio Tajani. L'Italia, sui rapporti con Donald Trump, non cambia binario. E sui dazi Meloni ha chiesto nuovamente prudenza, dicendosi soddisfatta della "lucida" decisione di rinviare le contromisure Ue. L'idea di fare da ponte tra le due sponde dell'Atlantico è meno percorribile di qualche tempo fa, ma resta nella testa della premier. "Andrò alla Casa Bianca, ma non ho ancora una data", ha assicurato prima di congedarsi dai cronisti e riprendere posto al tavolo dei 27.
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