Una chiacchierata intensa, autentica,
piena di aneddoti e sentimento. Francesco "Ciccio" Graziani si è
aperto ai microfoni di Betsson.Sport in un'intervista con
Stefano Sorrentino, regalando uno spaccato umano e sportivo di
rara sincerità. Ne emerge il ritratto non solo di un grande
attaccante, ma di un uomo profondamente legato ai valori del
calcio e della vita.
Tra i temi centrali, il rapporto speciale con Paolo Pulici, una
coppia che ha fatto sognare i tifosi del Torino: "Quello che ci
legava è che tutti e due sapevamo che eravamo complementari,
tant'è vero che la difficoltà degli avversari era che per noi
bastava solo uno sguardo", racconta Graziani, sottolineando
l'intesa unica con il compagno d'attacco. Un legame profondo,
dentro e fuori dal campo, reso ancora più forte da quella
stagione indimenticabile culminata con lo scudetto del 1976,
quando il Toro scrisse la storia.
Non mancano i ricordi dedicati ai compagni di squadra e alle
figure leggendarie del club granata, come Claudio Sala, Eraldo
Pecci, Giorgio Ferrini e naturalmente il tecnico Gigi Radice,
autentico trascinatore di quel gruppo irripetibile. E proprio su
Ferrini, Graziani condivide un aneddoto toccante, capace di
restituire tutta la grandezza umana e sportiva di un capitano
amatissimo: "Giorgio era un punto di riferimento di
professionalità, di voglia di lottare. Mi ricordo di una volta
in un Bologna-Torino, Giacomo Bulgarelli mi fece un'entrata che
se mi prendeva avrebbe potuto mettere a rischio la mia carriera,
io feci in tempo ad alzare la gamba quindi mi diede la botta ma
non con la gamba ferma per terra sennò mi avrebbe tritato e
Ferrini l'ha chiamato da una parte e gli ha detto: "ascoltami
non ti permettere mai più di fare un'entrata a questo ragazzo
così perché se lo prendi bene gli rovini la carriera e da adesso
in poi te la devi vedere con me" e io apprezzai veramente tanto
quel gesto"
Spazio anche al derby contro la Juventus, raccontato non solo
come una partita, ma come uno scontro tra identità e
appartenenze: "Per noi il derby era qualcosa di particolare, la
forza che mettevamo in quelle partite era quasi esagerata. Ci
preparavamo in un modo speciale, totalmente in maniera diversa
da tutte le altre squadre e spesso questa carica ci ha dato la
possibilità non solo di fare bene ma anche di vincere nonostante
loro fossero più forti sulla carta. Questa carica, questa
determinazione, era come se il popolo scendesse in campo contro
la borghesia. Loro rappresentavano il potere, la squadra più
ricca e forte, mentre noi eravamo gli operai, il popolo. E
proprio da questa differenza tra noi e loro nasceva lo spirito
del 'vecchio cuore Toro', quello spirito combattivo che, secondo
me, affonda le sue radici nel mito del Grande Torino".
Tra i momenti più intensi, il ricordo dello scudetto festeggiato
con i tifosi, il gol più bello segnato con la maglia granata
contro l'Ascoli, ma anche le emozioni vissute in nazionale: la
delusione della finale Roma-Liverpool, la cavalcata trionfale
del Mondiale '82, la leggendaria partita con il Brasile e
l'indimenticabile volo di ritorno con Sandro Pertini, in cui una
semplice partita a carte diventò storia.
Graziani riflette infine sul calcio moderno, senza nostalgie
inutili ma con lucidità e affetto per un mondo che è cambiato.
Con un paragone suggestivo: "Ad oggi il calcio italiano è
cambiato, il Franco Causio della situazione oggi è Di Lorenzo.
Una volta c'erano l'ala tornante e le due punte ma l'ala
tornante erano quei giocatori che avevano fantasia, estro,
imprevedibilità che ad oggi non c'è più, il calcio si è
velocizzato ma ha perso queste caratteristiche".
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