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Affaire Scajola riapre caso Biagi, si indaga su omicidio per omissione

Inchiesta contro ignoti su revoca scorta docente ucciso da Br

 Chi sapeva delle minacce a Marco Biagi non fece quello che era in suo potere, e dovere, per mettere al riparo il giuslavorista dai propositi eversivi, e assassini, delle nuove Brigate rosse. E' questa l'ipotesi, l'omicidio per omissione, su cui la Procura di Bologna ha deciso di riaprire l'inchiesta sulle eventuali mancanze nella protezione del docente, a 12 anni dal suo assassinio. E' un titolo di reato molto più grave della semplice omissione e pure della cooperazione colposa in omicidio, ipotizzata e poi archiviata nel 2003. E comunque prescritta nel 2009, sette anni e mezzo dopo. L'omicidio per omissione no: non è ancora soggetto a prescrizione, è tuttora perseguibile.

Il secondo comma dell'articolo 40 del Codice penale, quello che regola il "Rapporto di causalità" tra una condotta umana e un delitto, recita testualmente: "Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo". Tradotto: dovesse essere ipotizzato che qualcuno tra gli uomini dello Stato che avevano un ruolo nella tutela invocata da Biagi, negata e seguita dall'omicidio del docente, quell'individuo sarebbe accusato di averne causato la morte come i sicari cui avrebbero dovuto mettere contro uno scudo.

Accusa da brividi: per ora, per questa ipotesi di reato non ci sono iscritti sul registro degli indagati e i titolari del fascicolo, il procuratore Roberto Alfonso e il sostituto Antonello Gustapane (le cui indagini si basano sui documenti inviati dai Pm di Roma), come primo passo dopo la riapertura del caso devono individuare chi avesse l'obbligo giuridico di impedire l'omicidio di via Valdonica quel 19 marzo 2002: chi avesse, in sostanza, la responsabilità nella revoca della scorta a Biagi, che andò solo, in bicicletta, verso il suo destino. "Ho sempre detto la verità e non da oggi. Ho conservato i documenti a mia tutela e li ho messi a disposizione appena mi sono stati chiesti. Auspico che possano concorrere al pieno accertamento della verità", dice ora l'ex segretario di Scajola, Luciano Zocchi, sottolineando che le carte che gli sono state trovate sono sue e non di Scajola: "Le ho tenute - conferma, spiegando anche di avere registrazioni di alcuni incontri - per dimostrare "la perfetta buona fede del mio operato".

Tra queste carte in mano agli inquirenti ci sarebbe anche una lettera di un politico vicino al giuslavorista e che fu spedita a Claudio Scajola, allora ministro dell'Interno, in cui si spiegava la serietà del pericolo per Biagi. Pochi giorni dopo, infatti, fu ucciso dalle nuove Br. Il fatto nuovo è questo: sulla lettera ci sarebbe il 'visto' dell'ex ministro Scajola, che, nella precedente inchiesta, aveva sostenuto invece di non essere al corrente dei gravi rischi per il professore. Un dettaglio che ovviamente attira l'attenzione dei Pm. Lo stesso Scajola fu costretto alle dimissioni dopo un' esternazione fatta a tre mesi dall'omicidio del giuslavorista, quando, parlando a ruota libera con un paio di giornalisti, lo definì un "'rompicoglioni' che voleva il rinnovo del contratto di consulenza".

Il documento vistato sarebbe stato trovato dalla Guardia di Finanza nell'archivio di Zocchi, nell'ambito di un'inchiesta nella capitale sull'eredità dei Salesiani. Le indagini della Procura di Bologna sono condotte dallo stesso magistrato che nel 2003 aveva chiesto l'archiviazione per i quattro funzionari indagati per cooperazione colposa in omicidio. Un'archiviazione che il gip accolse, su richiesta appunto del pm Antonello Gustapane, in quanto gli errori sia a livello centrale che periferico che portarono alla revoca della scorta non avevano rilievo penale. In Procura sono già stati sentiti dai magistrati lo stesso Zocchi e anche la moglie dell'ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, all'epoca vicino a Biagi. Nei giorni scorsi è stato sentito un altro testimone, nel massimo riserbo degli inquirenti che preferiscono non commentare le notizie su questa nuova indagine.

 

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